Estate, tempo di vacanze. Riflettevo nelle ultime settimane proprio su questo, su come la stagione estiva costituisca nella percezione comune il periodo appropriato (si potrebbe dire anche “designato”) per andare in vacanza. Certamente, tale percezione deriva in buona parte dal clima, dal desiderio di cercare sollievo durante il periodo più caldo e di godersi il sole; tuttavia, si fa sempre più strada la sensazione che persino questo legittimo bisogno di fermarsi – prendendosi un po’ di libertà e di riposo dalla frenesia del quotidiano – debba essere una “concessione” regolata, prestabilita, inserita in un calendario annuale puntualmente scandito. Ed ecco che anche la vacanza, momento che dovrebbe estraniarci dalla nostra ordinaria tabella di marcia, finisce talvolta per trasformarsi nell’ennesima sequela di impegni da rispettare, producendo una certa dose di stress che viene messo in valigia insieme a pantaloncini, magliette e costumi da bagno; come se, una volta passata l’estate, si chiudesse la finestra temporale nella quale poter programmare in agenda una pausa.
La parola “vacanza” deriva dalla parola “vacante”, cioè vuoto, libero. Ho letto questo spunto nel post di una nota pagina online, che mi è comparso sotto gli occhi proprio nel pieno delle mie riflessioni. Come ho già argomentato in un precedente articolo di questo blog (potete leggerlo qui) viviamo in un’epoca che ci porta spesso a temere il vuoto, fino al punto di tentare di colmarlo con ogni mezzo. Riempirci di appuntamenti, impegni e cose da fare è il modo più comune con cui viene affrontato questo horror vacui, cioè la paura del vuoto, o in questo caso l’ansia del tempo libero che viene spesso vissuto come “tempo svuotato” e dunque sprecato.
La parola agenda è così diventata indispensabile per ciascuno di noi, come se fossero le nostre agende ad avere il controllo delle nostre vite; come se in qualche modo ci rappresentassero, come se dicessero al mondo cosa – e quanto – facciamo, definendo dunque chi siamo. Insomma, un’ansia costante.
Molti di noi programmano le ferie con la stessa modalità con cui gestiscono le loro agende nel resto dell’anno, organizzando impegni e attività come se anche le vacanze fossero una corsa contro il tempo (spesso poco) a disposizione per riposarsi. In questo modo, però, il rischio è quello di riproporre lo stress quotidiano anche durante le ferie, ostacolando il processo di recupero delle energie di cui necessitiamo; in un certo senso, potrebbe risultare una forma di autosabotaggio. Con questo non intendo dire che si dovrebbe passare l’intera vacanza nel totale ozio (siamo tuttavia liberi di farlo, se ci aggrada); piuttosto, la soluzione migliore potrebbe essere quella di trovare il giusto equilibrio tra relax e attività alternative.
Riempire ogni minuto del proprio tempo libero – o “vacante” – è una mossa che rischia facilmente di interferire con lo scopo stesso della vacanza, tramutandola ben presto in un’altra occupazione programmata – quasi una sorta di lavoro. È un’affermazione forte, me ne rendo conto; così come appare forte la tentazione di colmare ogni momento “vuoto”, mettendo a tacere la costante sensazione di aver sprecato il proprio tempo a non fare nulla che fosse in qualche modo produttivo.
E se lasciassimo invece che quel tempo rimanesse vacante? Se ci concedessimo la possibilità di riempirlo, di volta in volta, con quello che sta accadendo nel momento presente? Lasciarsi trovare impreparati dagli eventi può rappresentare una sfida ardua per molti di noi.
Estate, tempo di vacanza… o tempo vacante?
Questo dipende da noi. Mettiamo allora da parte i fitti programmi e l’ansia del “dover fare” a tutti i costi; impariamo a vivere il momento presente, lasciando che ci colga talvolta disponibili e liberi da impegni, rigenerandoci con il suo ritmo lento.