FamigliaFototerapia e fotografia terapeutica

Le foto di famiglia in psicoterapia: tra volti, ricordi e storie

By 26 Giugno 2022No Comments

È indubbiamente un cliché tra i più diffusi, ma anche uno dei più incontestabili: quando si intraprende un percorso psicologico è quasi certo che, prima o poi, dal terapeuta giunga la richiesta di raccontare qualcosa della propria famiglia.
Nell’insieme delle numerose interazioni con cui abbiamo quotidianamente a che fare – e che influenzano così il nostro modo di pensare, di agire e di essere – quelle che ci legano al nostro sistema familiare sono infatti tra le più significative (soprattutto se si considera che ne facciamo parte fin dalla nascita). L’esplorazione di questi rapporti può dunque rivelarsi molto spesso utile o necessaria al fine di cominciare a sciogliere alcuni nodi, anche quando in apparenza non sembra esserci una connessione diretta con ciò che portano come “problema” durante i colloqui.

Le reazioni di fronte a tale richiesta possono risultare molto diverse tra loro: c’è chi ne parla con piacere, chi con trasporto, chi invece lo fa con amarezza o distacco; c’è chi si commuove e chi al solo pensiero avverte un senso di rifiuto. Nessuna di queste modalità è di per sé giusta o sbagliata. Le idee e i vissuti che ciascun individuo porta con sé rispetto alla famiglia (alla propria o anche solamente al concetto in generale) sono infatti legate alle personali e differenti esperienze di ognuno – perciò assolutamente legittime.
La questione va sempre affrontata con una certa cura e delicatezza, in particolar modo quando si tratta di rievocare sentimenti o ricordi che sono stati per lungo tempo chiusi in un cassetto della memoria. Così come può risultare complicato o doloroso riavvicinarsi – pur soltanto attraverso la narrazione – a persone che non ci sono più o che fanno parte unicamente del passato. I racconti inoltre si perdono nel tempo, mutano insieme ai ricordi, trasformati dall’intensità di certe emozioni.

…e se vi fosse invece chiesto di mostrare la vostra famiglia?
Se vi si domandasse di raccontarla con le fotografie?

È ben diverso raccontare di qualcuno oppure farlo avendolo di fronte; ciò vale anche nel caso in cui davanti ai nostri occhi ci sia semplicemente la sua immagine, che sembra tuttavia capace in qualche modo di riattivare quel legame, quel ricordo, quel sentire che nelle parole rischia talvolta di perdersi e confondersi. Osservare le persone ritratte nelle nostre foto ci costringe ad entrare nuovamente in relazione con loro, con i loro volti, con le storie che ci portiamo dentro e di cui loro fanno parte. Ecco allora che si mette in moto un insieme di interazioni, di narrazioni, di emozioni.

Tra le varie tecniche usate per questo tipo di lavoro troviamo l’album di famiglia e il genogramma fotografico (il primo direttamente ispirato ad una categoria di tecniche proposte da Judy Weiser, massima esperta di fototerapia; il secondo sviluppato da Fabiola Fabbri a partire dal classico genogramma, noto strumento della terapia sistemica).
In entrambi i casi, sono numerose le domande che possono venire a galla sia durante il processo di selezione delle immagini che nelle fasi successive di condivisione con il terapeuta.
Chi metteresti nel tuo album? Chi invece lasceresti fuori? Dove li posizioneresti rispetto a te? Quali somiglianze noti tra queste persone? Quali sono i giochi relazionali ricorrenti? Quali storie emergono? Quali emozioni provi nel rivedere certe immagini? Quali foto ti fanno sorridere e quali ti fanno riflettere?

L’esperienza terapeutica con le foto permette allora di porsi queste ed altre domande e di osservarsi mentre pian piano si cercano le risposte, che però – attenzione! – non saranno risposte definitive, né tanto meno risposte giuste o sbagliate; saranno invece risposte emotive, che aiuteranno a ricostruire il quadro e a dargli una nuova forma e nuovi significati.

Perché dunque parlare di famiglia?

La volontà di soffermarsi con lo sguardo sul complesso sistema di relazioni familiari non ha come scopo ultimo quello di ricercare una causa o un colpevole che spieghi l’attuale situazione della persona; l’intento è piuttosto quello di studiare i meccanismi e i processi che tutt’oggi condizionano la sua vita e le sue relazioni e che in qualche modo guidano i suoi comportamenti e le sue scelte. In termini più semplicistici, si tratta di osservare le interazioni nel passato per comprendere l’individuo nel presente e orientarlo così in maniera efficace verso un percorso di cambiamento.

Naturalmente un lavoro di questo tipo va affrontato nelle giuste condizioni, con qualcuno che sia in grado di accompagnarci nella discesa e poi nella risalita. Le fotografie possono costituire uno strumento potente e hanno talvolta la capacità di scoperchiare il famoso vaso di Pandora; occorre allora darsi un tempo adeguato per osservare le foto, per mostrarle e raccontarle, per elaborare e infine lasciar andare tutta la gamma di emozioni che questa esperienza riesce a suscitare. È uno spazio di condivisione in cui il tempo si arresta, in un miscuglio tra passato, presente e futuro, scandito solamente dai volti che vediamo impressi nelle fotografie e dalle voci in dialogo tra loro della persona e del terapeuta.

Giorgio Bordin

Author Giorgio Bordin

Psicologo, psicoterapeuta, formatore, fotografo, autore di articoli su web e riviste.

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