Nell’immaginario collettivo, lo psicologo è colui che ascolta le storie degli altri. Nel mio lavoro, finisco tuttavia per raccontarne a mia volta. Può trattarsi di episodi accaduti proprio a me, oppure di storie che ho letto o sentito altrove. Quella della rana bollita l’ho raccontata ad una persona di recente. È abbastanza nota, molti di voi probabilmente già la conoscono.
“Immaginate un pentolone pieno d’acqua fredda nel quale nuota tranquillamente una rana. Il fuoco è acceso sotto la pentola, l’acqua si riscalda pian piano. Presto diventa tiepida. La rana la trova piuttosto gradevole e continua a nuotare. La temperatura sale. Adesso l’acqua è calda. Un po’ più di quanto la rana non apprezzi. Si stanca un po’, tuttavia non si spaventa. L’acqua adesso è davvero troppo calda. La rana la trova molto sgradevole, ma si è indebolita, non ha la forza di reagire. Allora sopporta e non fa nulla. Intanto la temperatura sale ancora, fino al momento in cui la rana finisce – semplicemente – morta bollita. Se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell’acqua a 50° avrebbe dato un forte colpo di zampa, sarebbe balzata subito fuori dal pentolone.”
Questo brano (tratto da un testo di Noam Chomsky) esprime una semplice allegoria, chiara e d’impatto, che si adatta con facilità a numerosissimi ambiti e contesti. Il racconto della rana bollita è stato infatti abbondantemente sfruttato nel corso della storia, sempre allo scopo di far riflettere sulle future conseguenze critiche di situazioni trascurate o addirittura ignorate nel presente – come nel caso del cambiamento climatico, della privazione dei diritti civili o delle relazioni basate sull’abuso fisico o psicologico.
Anche nel mio lavoro la storiella funge da perfetta metafora in diverse circostanze, poiché tocca dei temi controversi e sempre attuali: parlo di abitudine e di paura del cambiamento.
Nel corso della vita, può capitare a chiunque di noi di trovarsi incagliati in situazioni difficoltose dalle quali non si è più in grado di tirarsi fuori… esattamente come accade alla rana nel pentolone bollente! È facile che il nostro primo pensiero sia proprio “ormai è troppo tardi”… e se non fosse davvero così?
Quando e in che modo l’abitudine rafforza il problema?
Come la rana si abitua alla temperatura dell’acqua che sale e non si rende conto di trovarsi in pericolo, l’abitudine in certi casi può impedirci di cogliere alcuni aspetti critichi delle situazioni che stiamo vivendo. Poco per volta rimaniamo dunque àncorati alla nostra quotidianità problematica, che nel tempo percepiamo come la “normalità”; ciò finisce spesso per limitarci nella possibilità di considerare un’alternativa e dunque di cercare un cambiamento – non solo, l’abitudine può persino indurci a temere il cambiamento stesso! In poche parole, il rischio è quello di abituarsi gradualmente al proprio disagio senza saper reagire, bloccati dalla paura di un mutamento nella routine.
Rimaniamo così incagliati nel nostro malessere, troppo emotivamente o psicologicamente stanchi per riuscire a vedere altre soluzioni, per tentare di “balzare fuori dalla pentola”. Restiamo allora spettatori delle circostanze, incapaci di agire fin quando il problema non diventa insostenibile.
Ma può l’abitudine giocare anche a nostro favore?
Assolutamente sì, può giocare un ruolo estremamente utile e positivo! Se l’abitudine finisce talvolta per ostacolare il cambiamento, è ugualmente vero che in certi casi può invece agevolarlo. Modificando le nostre piccole abitudini possiamo infatti creare le condizioni favorevoli ad accogliere qualcosa di nuovo, facilitando in questo modo il graduale passaggio da una normalità – quella problematica – ad un’altra. In sintesi, l’abitudine può guidarci verso l’accettazione del cambiamento, consentendoci a poco a poco di adattarci alla novità.
È tuttavia importante precisare che il processo nasconde alcune insidie: la paura e la resistenza al cambiamento possono remarci contro, occorrono tempo e una buona strategia – che può essere messa a punto insieme allo psicologo – per riuscire a modificare efficacemente e a lungo termine certe particolari abitudini.
Il ruolo dell’abitudine nelle nostre vite può essere dunque ribaltato! Da elemento che rinforza il problema – e inconsapevolmente ci procura malessere – possiamo trasformarla in risorsa, in energia promotrice del cambiamento. Da quali abitudini vorresti cominciare?