Può succedere a chiunque di trovarsi incastrato in situazioni difficili o spiacevoli, senza capire come ci è finito dentro e senza sapere come uscirne fuori. Ma cosa significa quando ci accorgiamo che continuiamo a rivivere circostanze simili tra loro, che sembrano riproporsi come una sorta di copione? Possibile che ciò dipenda, in qualche misura, anche da noi stessi?
La risposta probabilmente è sì.
No, non si tratta di un deja-vu e non siamo improvvisamente finiti dentro Matrix. Il fenomeno è molto meno fantascientifico e molto più umano di quanto possa sembrare, tant’è che ad ognuno di noi può capitare prima o poi di cadere nella trappola dell’autosabotaggio.
Cosa si intende per autosabotaggio?
Con il termine autosabotaggio facciamo riferimento ad una strategia cognitiva il cui obiettivo è quello di proteggere e salvaguardare l’autostima e l’immagine di sé dai ogni pericolo esterno, spingendo le persone ad agire in maniera talvolta paradossale, evitando o boicottando tutti gli stimoli che potrebbero in qualche modo mandare in frantumi l’idea che ci si è fatti di sé stessi; in altre parole, la persona sfugge alle situazioni e alle relazioni che percepisce come una minaccia, nel tentativo di ostacolare ogni mutamento nel proprio modo di autopercepirsi.
Ciò accade anche quando si manifesta l’opportunità di cambiare la propria immagine di sé in positivo – ed è qui che avviene il paradosso: la difesa si trasforma in una trappola.
Il cambiamento può essere una sfida. Rinegoziare con sé stessi l’idea di chi siamo e quanto valiamo può infatti risultare estremamente faticoso e dispendioso in termini di energie cognitive ed emotive; apparentemente sembra invece più semplice tentare a tutti i costi di mantenere lo status quo – persino quando ciò significa privarsi dell’occasione di migliorarsi o di rivalutarsi. In certi casi può giocare un ruolo decisivo il fatto che la persona non si ritenga degna, sottostimandosi, tanto da arrivare inconsapevolmente ad autosabotarsi.
Come, ad esempio, quando non ci si presenta ad un colloquio di lavoro nonostante si disponga delle qualifiche richieste, poiché non ci si sente all’altezza del ruolo o dell’incarico; o come quando si è alla ricerca di una relazione amorosa, ma ogni volta che si incontra una persona nuova si finisce per evitare di mettersi davvero in gioco, trovando sempre delle ragioni per non approfondirne la conoscenza.
Come funziona l’autosabotaggio?
L’autosabotaggio è accompagnato da una serie di atteggiamenti tipici che si fondano sulla ricorsività del pensiero e dell’azione; detta in altri termini, l’autosabotatore pensa e agisce in modo tale da rafforzare il proprio senso di inadeguatezza o la propria immagine di sé attuale, nel timore che qualcosa possa cambiare, in un continuo processo che si autoalimenta. L’unico modo per fermare la giostra è quello di boicottare questo loop incessante.
Se vogliamo interrompere questo circolo vizioso, dobbiamo allora valutare innanzitutto quali sono le nostre possibilità. Sui fattori esterni (il contesto, le altre persone, ecc) il nostro margine di manovra è spesso limitato o talvolta inesistente; è invece sempre possibile tentare di controllare o gestire i fattori “interni”: ciò che pensiamo, ciò che proviamo, in altre parole tutto ciò che regola il nostro atteggiamento e comportamento, ciò che guida le nostre azioni.
Quali sono gli atteggiamenti tipici dell’autosabotaggio?
In che modo è possibile evitarli?
Il pensiero rimuginante è probabilmente il più comune tra i meccanismi tipici dell’autosabotaggio. Molto subdolo e pieno zeppo di tranelli, questo tipo di pensiero instilla in noi il dubbio e lo utilizza come un grimaldello per scardinare un po’ alla volta le nostre certezze, facendo leva sulle nostre paure e insicurezze.
Sono un convinto sostenitore del dubbio e della sua utilità, poiché dubitando abbiamo l’occasione di mettere in discussione noi stessi e il nostro punto di vista, di rivalutarci e di migliorarci; è tuttavia importante riconoscere quando tutto ciò si trasforma in un ostacolo, quando cioè il dubbio non ci aiuta a crescere bensì ci porta ad inciampare continuamente sullo stesso gradino; come se inseguissimo una domanda, un pensiero, un ricordo che non porta da nessuna parte, facendoci correre in circolo senza sosta – è una sorta di corto circuito cognitivo che diventa presto fonte di stress e di malessere.
Spostare l’attenzione da un pensiero rimuginante non è facile, proprio per questo il primo approccio richiede spesso un tentativo più “concreto”. Sembrerà banale e scontato, ma un efficace stratagemma consiste nell’agire per distrarre il pensiero: obbligando l’attenzione a spostarsi da ciò che si sta pensando a ciò che si sta facendo, si può riuscire infatti ad allentare la morsa del pensiero ossessivo. A questo punto risulterà più semplice ogni tentativo di individuare nuovi pensieri o idee che consentano di spostare lo sguardo fuori dal circolo vizioso del rimuginio.
È la ricerca della perfezione, in alcuni casi, a condurre sulla strada dell’autosabotaggio. Partendo dal presupposto che la perfezione non esiste, una tale ricerca non può che rivelarsi sempre e comunque infruttuosa.
Ancora una volta la persona rischia di trovarsi incastrata in un circolo vizioso di insoddisfazione e – ancora una volta – la maniera più efficace per evadere da questo circolo consiste nell’invalidare i pensieri e le azioni che lo alimentano; in altre parole, il modo migliore per sconfiggere la paura o l’idea che ci si è fatti dell’errore e dell’imperfezione è quello di sperimentarli, così da conoscerli, smettere di temerli e rendersi conto che tutto sommato possono essere gestiti.
La procrastinazione rappresenta un tasto dolente per molte persone. I pensieri del procrastinatore (“non è il momento giusto”, “c’è ancora tempo”, “lo farò quando sarò pronto”) e il suo agire – o meglio, il suo non-agire – possono esprimere tanto la ricerca del momento perfetto quanto una più o meno celata insicurezza nelle proprie capacità ad affrontare certi compiti o situazioni.
Come per il rimuginio dei pensieri, per sbloccare il meccanismo della procrastinazione bisogna per prima cosa ricorrere alle manovre concrete: è necessaria una certa disciplina, al fine di garantire regolarità nell’esecuzione di ogni piccolo passo che porta infine al completo svolgimento del compito o dell’azione che si sta cercando di evitare. È così che, grazie anche all’esperienza, si riescono a poco a poco a scardinare quei pensieri che ci spingono a sentire che non siamo ancora pronti. Nel caso della psicoterapia, l’intero processo viene negoziato e stabilito insieme al terapeuta, sempre nel rispetto della volontà e della disponibilità individuali.
Sia l’autocritica che l’autoindulgenza, se portate all’estremo, possono dar luogo ad atteggiamenti che fanno parte del repertorio dell’autosabotatore. Infatti, queste due forme di condotta apparentemente opposte tra loro concorrono entrambe ad alimentare un comportamento di autocommiserazione, mantenendo attivo il circolo vizioso ed impedendo alla persona di uscire dall’impasse. La costante tendenza all’autocritica, spesso ingigantita e ingiustificata, o l’eccessiva indulgenza verso se stessi, talvolta accompagnata dall’assenza di responsabilità, non lasciano spazio ad alcuna possibilità di riflessione o di cambiamento.
Il solo modo per svincolarsi è quello di trovare un equilibrio tra questi due atteggiamenti che, se ben dosati e adeguatamente utilizzati, possono trasformarsi in preziose ed utili risorse per la crescita e il miglioramento personale.
La colpevolizzazione dell’altro rappresenta una tendenza diffusa e strettamente collegata alla questione della responsabilità (qui potete approfondire la differenza tra i concetti di responsabilità e colpa). Quando attribuiamo agli altri l’intera colpa di qualcosa, scarichiamo ogni responsabilità all’esterno e la spostiamo dunque lontano dal nostro sguardo; in questo modo escludiamo a priori la possibilità di metterci in discussione e di migliorare noi stessi – proprio come accade quando si eccede nell’autoindulgenza.
Riuscire ad assumersi le proprie responsabilità senza tuttavia scivolare nel tranello dell’autocommiserazione consente di accogliere più facilmente le occasioni di crescita personale.
L’autocolpevolizzazione per il proprio passato rappresenta una particolare forma di autosabotaggio, caratterizzata dall’incapacità di perdonare se stessi per gli errori commessi (o per le azioni ritenute tali) e da un pensiero fortemente autocritico; a ciò si aggiunge spesso la tendenza al rimuginio, che intrappola la mente nel passato, a tormentarsi per degli sbagli ai quali non è comunque più possibile rimediare direttamente.
Questo circolo vizioso tiene in ostaggio la mente e le energie della persona coinvolta, distraendola dalle possibilità che ha invece attualmente a disposizione. Il primo passo per liberarsi consiste dunque nel rifocalizzare il pensiero sul presente – ed eventualmente, in seguito, sul futuro – senza accantonare del tutto il passato ma scegliendo invece di sfruttarlo per imparare ad agire diversamente nel qui ed ora.
Sono stati descritti in queste righe alcuni meccanismi complessi, non sempre facili da gestire in autonomia; possono anzi risultare particolarmente ostici da scardinare. In certi casi è perciò utile o necessario rivolgersi ad un professionista che sappia innanzitutto individuare queste trappole e in seguito ideare le strategie più adatte per disinnescarle con successo, liberando così il passaggio che consente finalmente di imboccare il sentiero del cambiamento.