Lutto e perditaPsicoterapia e dintorni

Il lutto e l’esperienza della perdita: come riaprirsi alle possibilità?

By 2 Novembre 2020No Comments

La parola lutto viene comunemente usata per riferirsi allo stato emotivo di coloro che affrontano la scomparsa di una persona cara. Tale vissuto può tuttavia corrispondere ad un’ampia gamma di circostanze differenti, che condividono tra loro un aspetto fondamentale: quello della perdita.

Che cos’è il lutto?

Il lutto è un’esperienza emotiva, psicologica e sociale. La morte di una persona cara rappresenta, come già introdotto, il lutto per antonomasia. Anche la malattia è una forma di lutto. Altrettanto può esserlo il licenziamento, così come un litigio, la rottura di un rapporto o persino una delusione. Allo stesso modo un trasferimento, il proprio o di qualcun altro. Ma l’elenco non si esaurisce certo qui. In tutti questi casi, il comune denominatore è l’esperienza della perdita: la perdita della salute, la perdita del lavoro, la perdita di una persona che non farà più parte della nostra vita, la perdita di un amico, di un familiare o del proprio partner.
Ognuno di questi eventi può essere accettato e compreso come parte dell’esistenza umana, come normale accadimento che prima o poi si verifica per tutti; essi rappresentano tuttavia in certi casi una sorta di “strappo narrativo” – possiamo altrimenti definirlo shock biografico – nella vita della persona: si tratta infatti di storie interrotte, di possibilità future che non potranno più esistere. Ciascuno strappo assume un differente significato e un peso più o meno rilevante per l’individuo e la sua storia; tali eventi possono infatti costituire degli episodi di poco conto, così come delle vere e proprie esperienze traumatiche.
Ciò che riaffiora durante il lutto è spesso un groviglio di emozioni legate alla perdita, vincolate inscindibilmente al ricordo di ciò che si aveva o di ciò che si era e, al tempo stesso, all’idea di ciò che si sarebbe potuto essere. Perché quando perdiamo qualcuno o qualcosa che ha fatto parte della nostra vita, svolgendovi un ruolo di valore, è come se perdessimo anche una parte di noi stessi: più precisamente, una parte di ciò che siamo stati – e di ciò che avremmo potuto essere, se la storia non fosse stata bruscamente interrotta. In altre parole, si potrebbe descrivere il lutto come un’esperienza di duplice perdita.
Intendo dire, per fare alcuni esempi, che perdere un genitore significa anche dover essere privati del nostro ruolo di figli; così come la perdita del partner implica la rinuncia a quella storia d’amore e a se stessi in quanto innamorati, amanti e parte di una coppia; la perdita del lavoro può invece rappresentare spesso l’impossibilità di sentirsi riconosciuto in quanto professionista o in quanto bravo genitore in grado di mantenere la famiglia; e via dicendo.
Sono quei pezzi di sé che risultano importanti e significativi per l’individuo stesso il quale in essi può riconoscersi, dal momento che contribuiscono a formare il complesso puzzle della sua identità.

Quali sono le abituali risposte messe in atto dagli individui e dal contesto?

La gestione della perdita non coinvolge soltanto la persona o le persone direttamente coinvolte; al contrario, molto spesso rappresenta una questione sociale. Infatti, nonostante ciascuno di noi reagisca in maniera differente alla perdita, esistono delle modalità socialmente condivise attraverso le quali si può manifestare e affrontare il proprio lutto. Si tratta di forme rituali che regolano e legittimano socialmente l’elaborazione e l’espressione del lutto. Benché tali pratiche non rappresentino per tutti una reale consolazione, la comune aspettativa implicita è che tutti rispettino comunque la prassi condivisa.
Nel caso della morte di una persona, il funerale costituisce il rito condiviso per eccellenza – tant’è che una cerimonia in onore del defunto viene celebrata anche da chi non appartiene ad alcuna fede religiosa. Il 2 novembre rappresenta simbolicamente il giorno dedicato ai propri cari scomparsi: si tratti di una visita al luogo di sepoltura o di un momento per raccogliersi nei propri ricordi, per molti costituisce l’occasione per adempiere ad un rituale di commemorazione.
Diversi esempi di azioni rituali per la gestione di una perdita si possono osservare anche in altre circostanze, che non necessariamente coinvolgono il contesto sociale: un modo comune di reagire per chi sta vivendo la fine di una relazione è quella di disfarsi in maniera quasi teatrale tutto ciò che gli ricorda l’altra persona, proclamando un atto di svolta; c’è chi in seguito ad uno strappo biografico decide invece di cambiare look, anche radicalmente (il taglio di capelli, l’abbigliamento, ecc…).
Questi gesti rappresentano delle strategie messe in atto nel tentativo di conferire un significato nuovo al proprio dolore, per potersi così muovere in direzione di una svolta.

Il lutto richiede tempo. Quando si realizza che la perdita ci ha portato via non soltanto ciò che abbiamo perduto, ma anche la possibilità di un futuro – promesso, atteso, sperato o anche solo fantasticato – che purtroppo non accadrà, è necessario concedersi del tempo per elaborare, processare, trovare un senso. È importante darsi del tempo per dire addio a ciò che abbiamo perduto, insieme a ciò che avremmo potuto essere e a quel possibile futuro che ci è stato sottratto; per immaginarci ciò che saremmo potuti diventare, le vite che avremmo potuto vivere; per smettere di rincorrere l’idea di ciò che avrebbe potuto essere ed iniziare a seguire nuove strade, in direzione di ciò che invece potrebbe essere.
C’è un tempo per denunciare a gran voce l’ingiustizia vissuta, per ribellarsi agli eventi e alla sensazione di impotenza, per elaborare il lutto. C’è un tempo per chiudersi, prima di riaprirsi. Un tempo che, purtroppo, quasi mai corrisponde a quello frenetico del mondo intorno a noi.

Se il lutto rappresenta quindi una chiusura forzata rispetto alle storie e alle possibilità perdute, la psicoterapia può costituire tanto un mezzo per affrontare la chiusura, quanto una riapertura verso l’esplorazione di nuove possibilità e nuovi significati. Dunque…

…come riaprirsi dopo la chiusura?
…come poter chiudere per poi riaprire?

Nell’ultimo libro della saga di Harry Potter, il giovane mago si trova a dover sciogliere un enigma legato alla frase incisa sul suo boccino d’oro, lasciatogli in dono dal proprio mentore Albus Silente: “Mi apro alla chiusura”. Ma trovare il giusto modo per riaprirsi, soprattutto in seguito ad una chiusura dolorosa, può rappresentare un vero e proprio enigma per chiunque.

Per molti, la parte più difficile del lutto è proprio la chiusura. Chiusura non deve tuttavia significare per forza abbandono, oblio: chiudere costituisce un passaggio essenziale, un’opportunità per generare nuove aperture verso il futuro. Futuro nel quale può certamente trovare il giusto spazio anche il ricordo di ciò che abbiamo perduto; di chi, ad esempio, ci ha permesso di aprirci a possibilità emotive che restano tutt’oggi ricche di valore e di significato. Inoltre, i ricordi possono contribuire alla ricerca di significati nuovi che, mantenendo una continuità narrativa con ciò che è stato, accompagnano la persona verso future esperienze, storie e possibilità.

Esistono diverse strategie in grado di favorire l’elaborazione del lutto, aiutando a riprendere in mano la situazione e a reagire a quel senso di impotenza che caratterizza il vissuto della perdita. Il compito del terapeuta è infatti quello di condurre la persona attraverso un percorso che le consenta di riacquisire un ruolo attivo rispetto alle proprie esperienze emotive. Anche nel caso in cui non sia possibile far nulla per riportare da noi ciò abbiamo perduto, è sempre e comunque possibile compiere una scelta: quella di lavorare su quanto è in nostro potere – i nostri pensieri e le nostre azioni.

Un esempio di tali strategie ci viene offerto da Michael White e dalla terapia narrativa. In uno dei suoi testi, l’autore propone un esercizio di scrittura che consiste nella stesura di una lettera indirizzata al proprio caro scomparso. Tale compito può essere chiaramente declinato in modi differenti: un testo scritto può essere diretto anche a coloro che sono semplicemente usciti dalla nostra vita o – perché no? – ad una parte o una versione di noi stessi ormai perduta. L’obiettivo di questa pratica consiste dunque nel riaprire un dialogo interiore con chi non c’è più o, in alcuni casi, con se stessi (approfondirò la questione in un prossimo articolo).

Un’ulteriore strada percorribile coinvolge la fototerapia e prevede l’osservazione di fotografie che raffigurino l’oggetto della perdita – una persona, un affetto, una parte della propria identità, un luogo, o quant’altro. Le immagini del passato permettono infatti di recuperare facilmente il ricordo con le sue componenti emotive e di rivivere nel presente l’esperienza positiva ad esso legata, rafforzandola. Il successivo processo di narrazione, svolto insieme al terapeuta, consente inoltre di conferire nuovi significati alla relazione, al vissuto o all’avvenimento sepolti nei ricordi, per impiegarli nell’esplorazione di prospettive future.

Un percorso di psicoterapia, per coloro che sperimentano difficoltà di fronte a questa duplice perdita, chiaramente non si limita a qualche utile stratagemma ben orchestrato. Si tratta di condividere i propri vissuti dolorosi con chi può aiutare a sostenerli, fino a quando non si riesce a trovare la formula adatta per trasformarla, per renderla un’esperienza significativa nonostante il dolore; si tratta di fare i conti con quelle storie che non si evolveranno mai, di osservare quelle versioni di sé che non esisteranno, per non lasciare che il fantasma di ciò che è stato e di ciò che poteva o doveva essere continui a portare tormento e a condizionare il proprio modo di guardare se stessi e gli eventi della propria vita.
La cicatrice della perdita farà sempre parte della biografia di chi l’ha vissuta; tuttavia, si può scoprire come integrarla efficacemente nella propria storia presente e in quella futura, per evitare il pericolo di rimanere incastrati nel ricordo doloroso del passato o nel rimpianto di un futuro che non prenderà mai forma. È una personale danza tra chiusura e apertura, che con la premurosa presenza del terapeuta può articolarsi in un ben coordinato passo a due.

 

Opera in copertina: René Magritte, La Décalcomanie, 1966.
Opera nel post: René Magritte, Variation de la Victoire, 1965.

Giorgio Bordin

Author Giorgio Bordin

Psicologo, psicoterapeuta, formatore, fotografo, autore di articoli su web e riviste.

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