Uno dei principi fondamentali della psicologia moderna individua nella soggettività dell’essere umano l’elemento fondamentale attorno al quale ruota tutto il suo mondo. Sulla base di tale presupposto, lo sguardo dell’altro costituisce l’indispensabile chiave di lettura per comprendere, interpretare e dare significato agli eventi che lo riguardano. In quanto psicoterapeuta, la ricerca di questa chiave di lettura rappresenta uno degli aspetti più delicati del mio lavoro.
La mia esperienza professionale mi ha portato a confrontarmi con una moltitudine di sguardi unici ed irripetibili, ciascuno legato ad una peculiare percezione della realtà; poiché ogni particolare sguardo sul mondo è in grado di generare una differente visione e narrazione del reale. In altre parole, il modo in cui ciascun individuo osserva gli eventi intorno a sé dà vita ad una differente e personale versione della realtà che descrive e racconta tali eventi.
La fotografia si offre come una perfetta metafora di quanto appena detto. Nel racconto di un mio episodio personale che risale a questo stesso periodo di sei anni fa, si manifesta con chiarezza il nesso tra l’osservatore e la realtà percepita. Lasciate dunque che vi accompagni per qualche istante sotto il nostalgico cielo d’Irlanda.
“Mi trovavo ad Howth, una piccola cittadina sul mare vicino a Dublino, durante il mio anno di permanenza in Irlanda. Era una domenica di novembre, nel tardo pomeriggio percorrevo il molo insieme ad una coppia di amici; uno di loro fotografo esperto, io fotografo all’epoca meno esperto. Ci fermiamo a scattare qualche immagine della banchina: la distesa di scogli, il mare aperto e in lontananza un isolotto, il cielo coperto di nuvole e la luce che andava sempre più scomparendo sul calar della sera. Nel momento in cui ci siamo avvicinati all’acqua, restando in bilico sui massi per riuscire ad inquadrare il molo da una prospettiva più interessante, eravamo a pochi passi di distanza e la porzione di mondo che stavamo osservando era la stessa per entrambi; la ‘scoperta’ (non si è trattato di una vera e propria scoperta, bensì di una sorta di rivelazione) è sopraggiunta quando, qualche tempo dopo, ho visto la fotografia scattata dal mio amico e ho riconosciuto in essa la medesima inquadratura da me scelta per rappresentare quel particolare luogo in quel dato momento, esattamente lo stesso luogo nello stesso momento: ed ecco il felice stupore […] nell’osservare due fotografie identiche ma al contempo essenzialmente differenti l’una dall’altra. Lo stesso luogo, nello stesso momento – la stessa porzione di mondo osservata dalla stessa posizione – aveva prodotto due immagini – due realtà – sostanzialmente diverse tra loro, ma entrambe assolutamente vere, poiché ciascuna di esse era stata generata dallo sguardo intenzionale di due individui distinti. D’altronde, due verità possono essere vere in due mondi diversi, purché siano coerenti con le rispettive versioni del mondo”. Il testo è tratto dal lavoro pubblicato su Scienze dell’Interazione nel 2018 (qui l’articolo completo).
Dal racconto appare chiaro come la fotografia rappresenti una valida metafora per il modo in cui tutti noi osserviamo ciò che ci circonda, traducendolo nella nostra personale realtà: così come il fotografo inquadra attraverso il mirino una porzione di mondo e produce effetti sull’immagine finale grazie all’uso della fotocamera e di altri strumenti, l’individuo si affaccia alla realtà con il proprio personale sguardo e influisce su di essa applicando le sue convinzioni, i suoi valori e i suoi significati. Ecco allora che due persone – con le loro distinte unicità – guardando nella stessa direzione possono dare luogo a due versioni del reale ben diverse tra loro, come è accaduto a me e al mio amico Davide.
Questa metafora, inoltre, mette in luce le potenzialità della fotografia come strumento terapeutico. L’immagine può infatti diventare il mezzo che permette di osservare la realtà direttamente attraverso lo sguardo dell’altro – per conoscere la sua realtà, piuttosto che mettersi alla ricerca della chimera: una realtà oggettiva e indistintamente valida per tutti – e di accedere al suo sistema di valori, convinzioni e significati. Ciò può dare avvio ad una comunicazione alternativa che si accompagna alle parole, fornendo nuove possibilità di interazione tra le persone coinvolte nella relazione terapeutica e nuove strategie da applicare insieme durante il percorso di cambiamento.
Le fotografie nel post:
Giorgio Bordin, Howth, 16 novembre 2014.
Davide Mantovanelli, Howth, 16 novembre 2014.