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Cibo e stress: come gestire la crisi?

By 30 Aprile 2020No Comments

Il cibo può acquistare diversi significati da persona a persona. Così come la percezione del suo sapore e del suo odore, anche il senso che gli viene attribuito risulta differente a seconda dell’individuo. Di conseguenza, la domanda che funge da bussola per orientarci nella comprensione e nella gestione di determinati fenomeni legati all’alimentazione è: cosa rappresenta per me il cibo?

Per gli italiani, il cibo ha sempre avuto una grande importanza. Il suo significato è molto spesso legato ad un senso di convivialità e di benessere. I pranzi in famiglia, le cene con gli amici, gli aperitivi, costituiscono infatti un aspetto essenziale del nostro modo di vivere la socialità. La vasta tradizione della cucina italiana, inoltre, ci insegna ad apprezzare un buon piatto anche in solitudine.

Tuttavia, in particolari situazioni di disagio, il cibo rischia di assumere un altro valore. Ad esempio, quando l’atto del mangiare è una pratica solitaria e il cibo diventa una sorta di compagnia, offrendo una sensazione distorta di benessere momentaneo.
Osservando la società occidentale più in generale, possiamo notare come l’assunzione di cibo rappresenti spesso un tentativo di reprimere le difficoltà emotive attraverso una soluzione che non solo è inefficace, ma alla lunga può risultare persino dannosa. Certo, questo talvolta aiuta a sopportare con maggiore facilità lo stress emotivo, rendendo le emozioni meno intense e di conseguenza più tollerabili. Ma la gratificazione immediata di questa “fame nervosa” rappresenta la classica pezza che si mette sul problema per rimediarvi provvisoriamente, fino alla successiva crisi. Insomma, tutto finisce per tornare irrimediabilmente allo status quo e così nulla si risolve.

Vari esempi di tali modalità disfunzionali ci vengono offerti dai numerosi programmi televisivi che spopolano negli ultimi anni, mostrando persone gravemente obese e raccontando le loro storie. Nei format di questo tipo è diffusa la tendenza a definire le cause del disturbo alimentare, cercandone di volta in volta l’origine e la spiegazione. Vengono dunque proposti i soliti luoghi comuni sull’obesità. D’altronde, l’intento documentaristico degli show televisivi spesso scivola nella banalità dell’intrattenimento senza che riusciamo subito a rendercene conto.
Ricordiamo però che esistono anche programmi di cucina che propongono un diverso rapporto con il cibo, presentandolo come qualcosa che per essere pienamente apprezzato richiede impegno e passione. Ciò offre un altro significato che si lega all’atto del mangiare, che può essere quello di realizzare, gustare, equilibrare. Si valorizza la qualità piuttosto che la quantità.

Tornando alla questione delle condotte alimentari problematiche, è necessario mettere bene a fuoco un punto: più che insistere sulle possibili cause, è importante concentrarsi sui processi che danno luogo a tali comportamenti. In altre parole, non occorre soffermarsi sul perché, ci interessa piuttosto approfondire il come.
Oltre a quelli già descritti, esistono diversi modi per rapportarsi al cibo. Ciascuno di essi appare vincolato ad uno dei molteplici significati che la società offre e che l’individuo personalmente vi attribuisce. Si possono quindi presentare varie situazioni critiche legate all’assunzione del cibo. Possiamo per comodità raggrupparle in: abbuffate, controllo ossessivo, inappetenza.
Ognuna delle categorie qui descritte implica l’uso di particolari e differenti strategie che portino ad un cambiamento nelle abitudini alimentari, le quali naturalmente vanno declinate e adattate a seconda del caso specifico, della persona e del contesto.

Come reagire alla fame nervosa?

Quando si parla di abbuffate – come già detto precedentemente – spesso ci si riferisce ad una sorta di “fame nervosa”, che può rappresentare sia un tentativo di gestione dello stress emotivo che la ricerca del piacere attraverso l’ingerimento di cibo. In entrambe le circostanze, l’immediatezza risulta essere il comune denominatore: il bisogno va soddisfatto subito! Con l’aumento della frequenza, le abbuffate compulsive vengono definite in clinica con il termine binge eating; possono inoltre verificarsi episodi di bulimia.
Naturalmente, non bisogna considerare ogni comportamento anomalo come un sintomo patologico o come un indiscutibile segnale di disturbo. In alcune situazioni, infatti, può capitare che condotte insolite vengano messe in atto per gestire un momentaneo disequilibrio esterno. L’attuale periodo di quarantena ci fornisce un chiaro esempio di come ciò possa accadere: nelle lunghe giornate trascorse in casa, il cibo può costituire una maniera di occupare il tempo, di riempire cioè lo spazio lasciato vuoto da tutto ciò che prima impegnava il nostro tempo nella quotidianità – in altre parole, si mangia per stress o per noia. Similmente, in circostanze diverse il cibo può sopperire a mancanze di altro genere. Ci si adatta in questo modo alla momentanea crisi, in cerca di un equilibrio provvisorio.
Allo scopo di gestire lo stress emotivo, si può sfruttare una buona varietà di strategie alternative. È possibile, ad esempio, giocare sull’anticipazione. Ogni volta che si sperimenta una forte voglia di mangiare, ci si può domandare se la spinta arriva da una sensazione di fame fisiologica o piuttosto da una fame nervosa scatenata da qualche altro tipo di bisogno. Porsi il dubbio permette in quel momento di operare delle valutazioni, svincolando la persona dalla pura e semplice sensazione che sta provando e portandola ad interrogarsi sulle possibili implicazioni del proprio agire: “cosa succede se adesso mangio?” e “cosa succede invece se evito di mangiare?”.
Un altro escamotage può essere quello di occupare la mente con altre attività che distolgano l’attenzione dall’intensità emotiva del momento. Oppure, si può scegliere di soddisfare la fame nervosa con qualcosa che non sia cibo e che magari sia in qualche modo piacevole e al tempo stesso utile nella gestione dello stress: si può ascoltare della musica, o produrla se si è capaci di suonare uno strumento; o praticare qualche altra forma d’arte, come la pittura, la scultura, la fotografia; anche praticare sport costituisce una valida opzione; eccetera.

Come gestire l’eccessivo controllo sul cibo?

L’abitudine di controllare il cibo che si assume nell’arco della giornata, sia nel genere che nella quantità, appare tendenzialmente frequente in coloro che sono concentrati sulla propria forma fisica e/o sul mangiare sano, ma ciò comunque non rappresenta la regola. Nella sue forme più acute e cronicizzate, tale comportamento più tradursi in un’ossessione verso il cibo vissuta negativamente per mezzo di un eccessivo controllo, di cui l’anoressia e l’ortoressia figurano tra le manifestazioni più estreme. Tuttavia, persino in questo caso, è necessario considerare la specifica situazione per valutarne la gravità; la preoccupazione rispetto alla quantità di cibo assunto può risultare infatti giustificata in particolari circostanze. L’attuale contesto di quarantena si offre ancora una volta come esempio utile a chiarire il punto: la momentanea impossibilità di fare movimento fisico, unita all’eventuale uso del cibo secondo le modalità sopra descritte, può di fatto indurre il timore di prendere peso.
Paradossalmente, i tentativi di mantenere una forma di controllo messi in atto proprio per paura di perderlo (il controllo) non fanno altro che alimentare questa stessa paura. È dunque consigliabile – tra le varie opzioni – fare dei piccoli strappi alla regola, in maniera da allentare la pressione psicologica che si è venuta a creare intorno al rituale del pasto; si può cercare così un nuovo equilibrio che permetta di continuare a mangiare in modo sano senza automaticamente scivolare nel pensiero ossessivo.

Cosa fare in caso di inappetenza?

Generalmente, l’inappetenza viene considerata uno dei sintomi della depressione. Noi però vogliamo svincolarci da tali categorie predittive, ricordandoci che il contesto gioca un ruolo fondamentale nell’orientare i nostri comportamenti. La carenza di appetito può infatti sopraggiungere anche in periodi di forte stress – sia fisico che emotivo – e può dipendere da fattori diversi, come ad esempio la mancanza di ritmi regolari o un ridotto dispendio delle proprie energie.
Un suggerimento potrebbe essere quello di ricercare il piacere nell’atto del mangiare, concedendoci almeno una volta al giorno il cibo o il piatto che più ci fa gola, assecondando così le nostre voglie e trasformando il momento del pasto in un momento dedicato a noi stessi, a coccolarci.

In chiusura, ricordiamo che prima di allarmarci e di gridare “al lupo, al lupo!” (dove il lupo è la patologia), è bene indagare e comprendere innanzitutto il significato che attribuiamo al cibo e in secondo luogo il senso che per noi assume l’atto del mangiare. Soddisfazione immediata? Semplice nutrimento? Perdita di controllo? Oppure convivialità? Piccolo sfizio? Passione per la cucina? Sono alcune delle possibilità.
Naturalmente, le indicazioni qui proposte non rappresentano in modo esaustivo la vasta gamma di strategie applicabili. Vanno inoltre considerate come delle linee guida che hanno bisogno di essere declinate secondo le particolari esigenze e difficoltà di ciascuno, poiché non è detto che ogni strategia funzioni per ogni persona; ugualmente, non è detto che alcune strategie inizialmente poco efficaci non possano funzionare poi nel tempo, se si prova ad adattarle in maniera specifica all’individuo, alle sue risorse e al suo contesto.

Giorgio Bordin

Author Giorgio Bordin

Psicologo, psicoterapeuta, formatore, fotografo, autore di articoli su web e riviste.

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