Con parole vostre

Con parole vostre: cos’è l’empatia?

By 20 Dicembre 2021No Comments

L’ispirazione mi arriva spesso da episodi o fatti della quotidianità, dalle persone che incontro nella mia vita professionale oppure in quella privata. Nell’ultimo mese un concetto in particolare è venuto ripetutamente a galla nel corso del mio lavoro, in circostanze diverse e tra loro slegate, come racconto di seguito.
Un paio di settimane fa stavo svolgendo un colloquio di psicoterapia con una cliente che si era improvvisamente trovata in una situazione difficile e inattesa; riflettendo insieme su quali risorse avrebbe potuto mettere in campo, è saltata fuori la parola “empatia” – un termine con cui la signora si identifica da sempre e che ha dunque proposto con frequenza dall’inizio del nostro percorso. Ma cosa significava per lei “essere empatici”?
Alcuni giorni dopo, mentre conducevo un incontro di supervisione con un gruppo di operatori socio-sanitari, la questione dell’empatia è emersa nuovamente; quando la volta successiva ho ripreso il discorso, le diverse voci degli operatori hanno dato spazio a molteplici chiavi di lettura: si trattava per loro di un vissuto imprescindibile, di un carico emotivo o di uno strumento utile e dunque utilizzabile?
In entrambi i casi, per sfruttare al meglio tale risorsa – o per imparare a gestirne la complessità – va innanzitutto compreso come usarla in maniera efficace; ma prima ancora è bene porsi una domanda:

«Cos’è, per te, l’empatia?»

Potrebbe sorprendervi, ma la reazione a questo interrogativo è diversa per ciascuno di noi. Conoscere la risposta – la propria risposta – consente di scegliere come utilizzare l’empatia, come direzionarla e sfruttarla nel pieno del suo potenziale.
Ho chiesto dunque alla mia cliente cosa fosse per lei l’empatia, generando un nuovo pensiero su cui poter lavorare insieme. Ho rivolto agli operatori la stessa domanda, per poter condividere i differenti punti di vista e discuterne in gruppo. È nata così l’idea per il nuovo articolo di questa rubrica (qui potete leggere come funziona), che mi ha spinto nei giorni successivi a porre anche a voi – conoscenti, clienti, lettori e followers – il quesito galeotto. Sempre con una sola, importantissima regola: non esistono risposte giuste né risposte sbagliate.
Le maniere per definire e declinare l’empatia sono molteplici, così come i modi in cui ne facciamo uso nel nostro quotidiano. La psicologia si è interrogata a lungo sull’argomento e continua a farlo. Adesso però lascio a voi la parola e mi riserbo di approfondire la questione in futuro, in un prossimo articolo.

Oggigiorno si parla molto di empatia. È un termine che sentiamo pronunciare in diversi contesti – non soltanto in quelli psicologici – e che può dunque sembrarci ormai sdoganato. Per questa ragione può suonare talvolta in maniera quasi ridondante. È una parola conosciuta da tutti, un concetto spesso dato per scontato. Vedremo che non è così, che ciascuno di noi attribuisce ad esso un particolare significato, in parte condiviso e in parte costruito con criteri del tutto personali.

Ciò che in primo luogo appare maggiormente condiviso nelle vostre risposte è il concetto di empatia intesa come capacità di mettersi nei panni altrui, di immedesimarsi nei vissuti e nelle emozioni dell’altro:

«Non dare per scontato il proprio punto di vista ma riuscire a mettersi nei panni dell’altro e cercare di capire le emozioni che potrebbe aver provato. Riuscire a sentire la gioia o il dolore di un’altra persona anche se non deriva da un’esperienza vissuta direttamente»

«Mettersi nei panni dell’altra persona, immedesimarsi nelle sue gioie, dolori, sconfitte e vittorie»

«Guardare con i tuoi occhi e digerire con la tua pancia»

«In un libro per bambini che ho letto da poco con mio figlio, spiegano l’empatia ai piccoli come una magia attraverso il quale riescono a mettersi “nelle scarpe degli altri” e, come immagine da proporre di un concetto tutt’altro che semplice, mi piace tanto»

Su questa scia, possiamo ritrovare nelle vostre parole diversi elementi positivi che caratterizzano le relazioni – come l’ascolto, il sostegno e l’apertura verso l’altro, giusto per citarne alcuni:

«Su due piedi forse direi che l’empatia succede quando una persona si mette in ascolto, no? È il sesto senso. Secondo me ha anche a che fare con la capacità di ciascuno di saper leggere le situazioni. ho sempre pensato alle persone empatiche come persone che abbiano la capacità di capire quando si trovano davanti a una persona che ha bisogno che loro semplicemente siano lì»

«Lasciarsi trasportare da chi si ha davanti cercando di cogliere gli aspetti fragili che necessitano del mio aiuto»

«La definizione di empatia l’ho conosciuta facendo il corso OSS ma fa parte del mio vissuto. Viene dal passato, mi è stato trasmesso dai miei genitori e dalle persone con cui sono cresciuta. Famiglia e nonni e zii e prozie e cugini e cugini dei cugini che formavano una rete solidale e di ascolto che ti faceva sentire “aiutata”»

«Per me l’empatia è un aspetto molto importante nella relazione, che presuppone innanzitutto l’esserci con un’altra persona, ma soprattutto un’apertura verso l’altro che non è per niente scontata…»

Quando si parla di empatia, anche l’idea di contatto o di connessione appare spesso condivisa. Ascoltando e leggendo le vostre risposte, inizio tuttavia a notare un primo importante spartiacque proprio in relazione a questo particolare concetto.

«Empatia per me vuol dire connessione, riflettersi nell’altra persona e diventare specchio. In questo modo l’amico o la persona cara sa che può appoggiarsi a te, sapendo che qualsiasi cosa dica o faccia non dovrà essere spiegata»

«Per me l’empatia sono due cerchi che si toccano ma non si confondono»

Le due testimonianze qui riportate, che rappresentano due differenti visioni rispetto all’idea di empatia, sembrano essere in netta opposizione tra loro. Entrare in connessione per qualcuno significa “diventare specchio”, riflettersi nell’altro ma soprattutto permettere all’altro di riflettersi a sua volta; c’è chi invece considera l’empatia come un modo per entrare in contatto ma senza fondersi – e confondersi – con l’altro, evitando di farsi influenzare dalle sue emozioni negative (come in seguito specificato da chi mi ha fornito la risposta in questione).
Vanno dunque considerate anche le criticità e le ambiguità dell’esperienza empatica:

«È il grado di feeling che si instaura spontaneamente tra due soggetti: può essere positiva o negativa, favorisce o è di ostacolo allo svilupparsi e al perseguimento di un rapporto»

L’empatia, è ormai evidente, rappresenta un concetto che nasconde in sé una molteplicità di significati. Nell’opinione comune viene considerata per lo più in rapporto alla sua dimensione duale di esperienza positiva e/o negativa, sulla base di ciò che sperimentiamo quando proviamo sentimenti empatici. Dopo averne osservato gli aspetti positivi, pongo ora l’accento su alcune testimonianze che descrivono l’empatia come un vissuto tendenzialmente negativo:

«Capacità di immedesimarsi nello stato d’animo di un’altra persona… ma senza emozioni da parte dell’altra persona… nel mio caso è sempre così…»

«Credo di provare empatia quasi solo per situazioni difficili o dolorose, penso che spesso sia un rivivere di quanto io ho già provato»

Per un certo numero di individui, l’empatia costituisce un vissuto che può risultare anche spiacevole o difficile da gestire. Qualcuno la percepisce come una forma di interazione unidirezionale, in cui la reciprocità sembra assente; qualcun altro può sperimentare invece una riattivazione del proprio dolore, che riverbera in risposta al dolore altrui; in molti, comunque, tendono a vivere intensamente la propria empatia, facendosi al contempo carico del malessere dell’altra persona.
La prevaricazione dei vissuti negativi (soprattutto quando sono molto intensi) può in certi casi portare addirittura a considerare la propria empatia come una sorta di “condanna”:

«Per me empatia verso le persone o verso gli animali è una condanna […] è qualcosa che a volte mi sale, mi distrugge»

«Comprendere e sentire l’altro, percepirne le emozioni belle e brutte. Gli empatici sono delle spugne! Hanno un dono immenso che è anche una condanna!»

Quest’ultima testimonianza, tuttavia, lascia aperto uno spiraglio verso la possibilità di imparare ad usare l’empatia in modo positivo e costruttivo. Contrapponendo alla parola “condanna” la parola “dono” ci mostra infatti un’altra potenziale chiave di lettura, un ulteriore modo di considerare l’esperienza empatica.
Questo articolo propone un tema altamente complesso e delicato, offrendosi però di gettare soltanto uno sguardo – ampio e superficiale – sul vasto mondo dell’empatia e dei suoi differenti significati. La questione meriterebbe senza alcun dubbio un approfondimento e le realtà possibili certamente non si limitano a quelle fin qui raccolte. Cominciamo dunque col porci ancora la domanda “cos’è, per me, l’empatia?” e proseguiamo la nostra esplorazione, che può continuare in primis in ognuno di noi e in futuro – lo spero – anche tra le pagine di questo blog.

 

Opera in copertina e nel post: Giorgio De Chirico, Archeologi, 1968.

Giorgio Bordin

Author Giorgio Bordin

Psicologo, psicoterapeuta, formatore, fotografo, autore di articoli su web e riviste.

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