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Maternità: molteplici sguardi e rappresentazioni

By 22 Maggio 2020No Comments

Sul tema della maternità si è da sempre abbondantemente dibattuto in psicologia. Numerosissime infatti sono le teorie prodotte nel corso dell’ultimo secolo e mezzo, ognuna generata da un particolare punto di vista, dal differente sguardo dei vari studiosi e ricercatori. Ma in questa sede non ci interessano le teorie che si possono trovare scritte sui libri. L’invito è quello di lasciarle allora da parte – scordiamoci per un momento che esistono – e di concederci lo spazio per alcune libere considerazioni.

Questo articolo ha origine da uno spunto di riflessione che risale a circa un paio di settimane fa, in occasione della recente festa della mamma. Come ogni seconda domenica di maggio, hanno fatto la loro comparsa in televisione e sul web moltissimi contenuti a tema (frasi, pensieri, immagini, eccetera). Tra le varie fotografie e illustrazioni, una in particolare ha catturato la mia attenzione: il ritratto di una madre realizzato da Pablo Picasso. Mi aveva in qualche modo colpito, ho dunque pensato di utilizzarlo come immagine per un breve contributo destinato alla mia pagina. Ma più lo osservavo, più si faceva largo un dubbio: può questo dipinto rappresentare in modo adeguato la maternità? Per trovare una risposta, è necessario prima riflettere su un’altra questione cruciale: esiste davvero un’immagine in grado di farlo? La domanda, naturalmente, può con facilità espandersi verso qualunque altro tema, traducendosi in: può una singola immagine definire adeguatamente un concetto specifico o un’intera categoria? In altre parole, è possibile che un determinato racconto – espresso secondo un particolare punto di vista – consenta di conoscere a pieno il fenomeno, sentimento o vissuto che sta descrivendo? L’insidioso interrogativo – che innumerevoli volte mi sono posto negli anni, in quanto psicologo – ha una risposta tanto semplice quanto complessa.

Nel caso specifico, l’elemento che ha instillato in me il dubbio è stato il soggetto del dipinto. In esso è ritratta una donna mentre allatta il suo bambino; ciò che da principio aveva attirato il mio sguardo non era stato tanto l’atto in sé, quanto piuttosto la sua raffigurazione e le scelte stilistiche (i colori, il tratto del pennello) usate dall’autore nel descriverlo. La decisione apparentemente innocua di usare questa immagine poteva tuttavia celare diverse criticità.

La modalità umana di rapportarsi con il mondo circostante induce tendenzialmente a prediligere le informazioni più semplici da processare, come ad esempio i luoghi comuni. Il pericolo di incappare in uno di essi è dunque costantemente presente. Il rischio che può verificarsi di fronte all’immagine in questione è quello di considerare l’allattamento come un aspetto imprescindibile della maternità. Si tratta però di un luogo comune! Riflettendo, possiamo infatti osservare come esistano diverse figure femminili che non rientrano nell’equazione sopra esposta. Si pensi al ruolo della balia, che in passato tra le varie mansioni ricopriva anche quella di allattare i figli di altre donne. Si considerino al contempo le identità femminili emergenti. L’epoca moderna favorisce nuove possibilità per le donne, che negli ultimi decenni hanno cominciato ad assumere ruoli inediti rispetto a quelli storicamente suggeriti. Attualmente, sono infatti numerose le donne che non necessariamente soddisfano il desiderio di autorealizzazione attraverso la maternità, o che lo fanno senza però edificare la propria identità unicamente attorno a quel ruolo.
Un ulteriore aspetto critico riguardo all’allattamento – sempre inteso come elemento rappresentativo della maternità – è legato alle implicazioni emotive e psicologiche di tutte quelle mamme che, per scelta o per un’effettiva impossibilità, non allattano il proprio figlio direttamente al seno. Per queste donne può essere destabilizzante trovarsi faccia a faccia con un’immagine del genere, in cui viene messo così in risalto un aspetto non corrispondente al loro personale vissuto di madri. Ciò può costituire fonte di dolore e dar luogo a vissuti di incompletezza per chi invece vorrebbe vivere tale esperienza; anche coloro che per qualsiasi ragione hanno scelto di non allattare possono comunque provare sentimenti di colpa o di vergogna.

Mi sono dunque trovato in una posizione critica. La ricerca di un’illustrazione che raffiguri la maternità in modo inclusivo – ossia ugualmente rappresentativo per tutti – può rivelarsi un’impresa ardua. Si torna così alla domanda cruciale: può un’immagine descrivere che cosa realmente significa essere madre?
Ecco che la risposta all’interrogativo spinoso si dimostra in questo esempio tanto semplice quanto complessa. La maternità nelle sue diverse sfumature non può essere certo rappresentata attraverso una singola immagine. Così come non può essere vissuta da ogni donna allo stesso modo, né mai definita per mezzo di una teoria univoca tra la vasta gamma di tutte quelle presenti in psicologia. Ma, al tempo stesso, ciascuna immagine racconta una specifica sfumatura, uno sguardo significativo sull’essere madre che per qualcuno corrisponde alla propria verità – a partire dall’autore dell’immagine stessa. Uno sguardo soltanto, tra le infinite combinazioni di colore possibili.

Propongo qui alcune tra le numerose opere incontrate durante la mia ricerca dell’immagine “giusta” – ricerca che, prevedibilmente, ha confermato quanto detto finora. Ogni immagine è uno sguardo differente – quello dell’artista – sull’identità di madre, mediato da pennellate e colori. Differenti sguardi, tra le infinite combinazioni e tonalità possibili. Infiniti modi di esplorare la maternità, di raffigurarla, di viverla o di comprenderla, di darle un senso e un significato. Ogni rappresentazione si distingue dalle altre, generando una realtà unica e vera per chi la osserva. Potenzialmente, esistono allora tante immagini quante sono le possibili forme e colorazioni della maternità.

Ma se esistono infiniti modi di essere mamma, qual è tra tutti il modo migliore? Non c’è una risposta che sia ugualmente valida per ciascuna donna; ogni esperienza individuale, ogni figlio, ogni possibilità offerta dal contesto e ogni fase della propria identità materna può spingere alla ricerca di risposte nuove e sempre diverse.

 

Le opere nel post:
Pablo Picasso, Maternidad, 1905.
Rosalind Keith, Maternità, 2018.
Jessie Wilcox Smith, Mother Helps With the Abc’s, 1921.

Giorgio Bordin

Author Giorgio Bordin

Psicologo, psicoterapeuta, formatore, fotografo, autore di articoli su web e riviste.

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